Benedetto Della Vedova è Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri e alla Cooperazione Internazionale dal 28 febbraio 2014, nei governi di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni; è Senatore della Repubblica dal 2013. È attualmente candidato per la lista pro-europeista “+Europa”, assieme all’ex-ministro agli Esteri Emma Bonino, per il collegio uninominale di Prato. Andrea Varsori, Editor-in-chief di Strife, gli ha parlato al King’s College, dove della Vedova ha partecipato al dibattito “The Road towards the United States of Europe”, organizzato dalla King’s Italian Society. Nell’intervista, si è discusso delle future prospettive dell’Unione Europea, delle sue divisioni interne, e della posizione italiana riguardo a Brexit.
AV: Col 2017, ci siamo lasciati alle spalle quattro grandi elezioni nazionali: Paesi Bassi, Francia, Germania, Austria. Lei pensa che l’UE ne sia uscita più forte?
BDV: Sicuramente sì. È uscita più forte soprattutto dalle elezioni francesi. Vorrei sottolineare, però, che si tratta di vittoria in una battaglia, magari quella principale, ma non nella guerra. E questa guerra consiste in uno scontro politico sostanziale: quello tra i fautori dell’apertura e i fautori di varie modalità di chiusura. A questo proposito, le elezioni austriache ci hanno dimostrato che lo scontro non è finito. Poteva sembrare, all’inizio, che la vittoria di Van der Bellen lasciasse ben sperare per un esito a favore dell’Europa. Alle ultime elezioni politiche, però, l’ÖVP di Sebastian Kurz ha vinto e ha formato un governo che ha come azionista di primaria importanza i nazionalisti dell’FPÖ. La partita, dunque, non è chiusa.
AV: In questo contesto, allora, da cosa può passare un eventuale rilancio dell’integrazione europea? Forse da una decisiva riforma di un settore dell’Unione?
BDV: In realtà credo che a contare di più siano le elezioni. Con tutti i difetti che possono avere. Dobbiamo tenere conto di come si vota in Polonia, in Austria, in Francia, dove l’esito è stato decisivo, e ovviamente in Italia, dove c’è da avere preoccupazione. Soprattutto, dobbiamo accettare il fatto che l’Unione Europea sia oggetto delle campagne elettorali nazionali. Da un lato, è oggetto di critiche da parte delle varie narrative nazionaliste. La necessità è quella di costruire una contro-narrativa efficace, soprattutto sul piano politico e simbolico.
AV: Lei vede degli esempi di questa contro-narrativa in questo momento in Europa?
BDV: Sicuramente la campagna elettorale di Macron è uno di questi. Soprattutto, il presidente francese ha continuato a dire le stesse cose anche dopo essere stato eletto, ad esempio nel discorso che ha fatto alla Sorbona. Macron ha vinto proprio perché ha affrontato direttamente il nazionalismo, sostenendo, contro la vulgata comune, la necessità di costruire una sovranità condivisa, l’unico tipo possibile di sovranità.
AV: Sicuramente una mossa controversa. Una parte consistente dei cittadini europei probabilmente vede l’espressione “sovranità condivisa” come un controsenso.
BDV: In questo, penso che la responsabilità decisiva nella diffusione di questa idea sia delle leadership politiche. Spesso, hanno deciso di cavalcare l’emotività, nella falsa convinzione che una tale mossa potesse pagare ben al di là del voto. Così spesso non è stato, ma le idee propagandate in campagna elettorale sono rimaste e hanno attecchito tra i votanti. Brexit ne è un esempio.
AV: Parlando di Brexit, lei cosa pensa dello stato attuale dei negoziati tra Gran Bretagna e Unione Europea?
BDV: Trovo molto positivo l’atteggiamento tenuto dall’Unione Europea sinora. Per ora, a Bruxelles ci si è mossi senza prestare il fianco a troppe divisioni interne. Ovviamente, all’interno dell’Unione le posizioni sono differenziate tra diversi Paesi. Nonostante questo, la posizione coesa dell’Unione nel negoziato è rispettata da tutti. Il punto della questione, in realtà, è il Regno Unito. È Londra che deve decidere che obiettivo vuole raggiungere. Su un continuum che va dal Canada alla Norvegia, il Regno Unito deve decidere dove posizionarsi.
AV: L’Italia ha un esito preferito dei negoziati in corso sulla Brexit?
BDV: Io le posso dire quale esito preferirei io. Personalmente, io vorrei che i negoziati sulla Brexit finissero in modo da lasciare spazio e modalità per un ripensamento. Questo ripensamento può avvenire con una modalità uguale e una decisione contraria a quella avvenuta nel giugno 2016. Sono convinto che una grande democrazia come quella britannica possa benissimo ritornare sui propri passi.
AV: In questo contesto, la posizione dell’Italia, soprattutto nella stampa domestica, è spesso descritta come simpatetica alle istanze britanniche nel negoziato. Lei è d’accordo con questa visione?
BDV: Questa impressione può essere adeguata per il presente governo. Il Primo Ministro Gentiloni è sicuramente molto friendly nei confronti di Londra - ed è giusto così. Personalmente, sono convinto che il rapporto tra Italia e Regno Unito debba essere una amicizia nella franchezza. La franchezza nei rapporti reciproci non deve impedire, ma anzi può aiutare la collaborazione tra i due Paesi. Il mio sogno, in realtà, è quello di impostare delle modalità per ottenere un esito diverso dall’uscita del Regno Unito dall’Unione. Detto questo, ha ragione chi dice che Brexit is Brexit: è una cosa seria, di portata storica, che è impossibile ignorare. Sicuramente, dopo il referendum non è possibile avere del business as usual. La questione fondamentale che va riaffermata in questo momento in Europa, nell’ambito dei negoziati su Brexit ma non solo, è che il mercato unico europeo, i suoi flussi e i suoi benefici non sopravvivrebbero alla fine dell’integrazione politica. Non è possibile immaginare un vero single market senza un complesso di istituzioni che lo governi: integrazione economica e politica si sostengono a vicenda. Per esse, vale la formula latina simul stabunt, simul cadent. Questo va ribadito, ovviamente, per combattere il nazionalismo, che è un nemico sia per l’integrazione politica, sia per quella economica, dato che spesso implica il protezionismo. Ma andrebbe ribadito anche ai Paesi dell’Est.
AV: A questo proposito, come affrontare le posizioni più scettiche di certi Paesi dell’Europa Centrale, come quelli del Gruppo di Visegrád (Polonia, Ungheria, Cechia, Slovacchia)?
BDV: Quello con i Paesi dell’Europa Centrale è uno scontro politico da affrontare in termini politici. Ovviamente, all’interno dell’Unione tutti i Paesi sono in condizione di fare una scelta riguardo al tipo di politiche che essi preferiscono condurre internamente. Però il punto che va chiarito è che l’appartenenza al mercato unico implica una condivisione totale dei diritti, ma anche dei doveri e delle responsabilità che ne conseguono. Da questo punto di vista, è inammissibile che certi Paesi si siano rifiutati di partecipare alla condivisione dei migranti. Le nazioni dell’Europa Centrale ricevono, giustamente, fondi strutturali dall’Unione che le hanno aiutate e le stanno aiutando a raggiungere livelli di sviluppo economico comparabili a quelli dell’Europa Occidentale. Per i fondi strutturali, l’Italia è un contributore netto. Beneficiare di voci di bilancio europee quali le politiche di sviluppo strutturale, però, significa anche dover prender parte agli sforzi comuni dell’Unione, inclusa l’accoglienza di migranti. Le due cose si accompagnano: accettare una significa accettare anche l’altra.
This article has been translated in Italian by Andrea Varsori. The English version is available here
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Feature image: here (credit image: ANSA)
Image 1: Picture taken by Mr Benedetto Della Vedova’s staff during the interview